Uranio impoverito, indennità negata ad un militare negata dopo un linfoma a seguito della missione in Iraq. Il Tar accoglie il ricorso

Avvocato Militare Infodivise

Un militare italiano, colpito nel 2018 da un linfoma non hodgkin, ha vinto il proprio ricorso al Tar del Piemonte, che ha così annullato con rinvio la decisione del Ministero della Difesa di non concedergli l’indennizzo per causa di servizio.

In territorio iracheno, l’uomo ha operato in zone di guerra caratterizzato da “una plausibile contaminazione di metalli pesanti” e dove in passato furono usate con frequenza armi ad “uranio impoverito“.

Come riporta ilfattoquotidiano.it, i giudici regionali, con il loro verdetto, hanno puntualizzato che la materia in questione è regolata da una cosiddetta “inversione della prova“: ovvero è l’amministrazione a dover dimostrare l’assenza di un nesso effettivo fra il contatto con le sostanze nocive e il sorgere della malattia, e non viceversa.

Il militare, primo caporal maggiore, è stato in Iraq dall’agosto del 2017 all’aprile del 2018. Poco dopo il suo rientro il malessere e la diagnosi che lo aveva spinto a presentare l’istanza il riconoscimento della dipendenza della patologia da causa di servizio. Istanza respinta.

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Per il legale del caporal maggior, che ha comunque ricevuto l’indennità prevista per legge per chi deve sottoporsi a cure oncologiche, il ministero ha ricostruito le mansioni come istruttore in Iraq sulla sola scorta di rapporti informativi finalizzati a respingere l’istanza, ignorato un rapporto da cui emergerebbe “incontestabilmente” l’esposizione all’uranio e altri metalli pesanti nel corso dell’operazione Prima Parthica.

Tra l’altro il militare in passato ha prestato servizio al “poligono militare di Monte Romano, contaminato dalla dispersione di micro e nano particelle di metalli pesanti e sostanze radioattive”. Il ministero ha respinto ogni addebito ma per i giudici il ricorso va accolto.

Le “condizioni di impiego” in Iraq, paese dove “egli anni e nei decenni precedenti è stata teatro di conflitti militari caratterizzati dall’uso di armi pesanti e ad uranio impoverito”, “impongono di ritenere che il militare, impregiudicate le pur significative precauzioni assunte dall’Esercito, possa essere venuto a contatto con agenti inquinanti presenti nell’aria e nel suolo in ragione dei bombardamenti avvenuti negli anni e dell’esposizione massiccia (dichiarata dal militare, e non approfondita dall’Amministrazione) a numerosi composti”.

Per i magistrati il ministero “non ha ricostruito correttamente i presupposti di fatto del beneficio indennitario invocato dal ricorrente, svolgendo un’istruttoria che non può considerarsi esaustiva.

Ne consegue l’illegittimità sotto questo profilo del provvedimento impugnato”. Quindi la conclusione: “… Il verificarsi dell’evento (id est, la malattia) costituisce infatti condizione sufficiente per l’accesso agli strumenti indennitari (non già al rimedio risarcitorio), salvo l’Amministrazione militare – stabiliscono i giudici – non fornisca prova del fatto che la patologia contratta dal militare dipenda da altri fattori esogeni dotati di autonoma, esclusiva e determinante efficacia eziologica”.

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