Presunte molestie all’adunata degli Alpini a Rimini: raccolte 11mila firme per sospendere per due anni i raduni

Alpini

«Vogliamo la sospensione delle adunate annuali degli alpini per due anni». Dopo i casi di molestie all’adunata delle penne nere di Rimini, ha raccolto 11mila firme in appena 12 ore la petizione online lanciata su Change.org da Micol Schiavon per chiedere la «sospensione di tutte le adunate degli Alpini, a causa delle molestie verificatesi nelle città ospitanti».

Nella petizione si legge inoltre che «ogni anno, nella seconda settimana di maggio, si tiene l’adunata degli Alpini in una città prescelta dal Consiglio nazionale degli Alpini.

L’ultima si è tenuta a Rimini e nel giro di poche ore sono state esposte più di 150 denunce da parte di donne alle attiviste di Non Una Di Meno, le quali hanno raccolto testimonianze sconcertanti riguardo al comportamento irrispettoso, sessista e violento degli Alpini, i quali non si sono limitati alle molestie verbali ma sono arrivati a molestare fisicamente anche delle ragazze minorenni».

L’autrice della petizione spiega anche che «non è la prima volta che questo accade: ogni anno emergono episodi di questo genere eppure continuiamo ad accettare che questo evento abbia luogo, rendendo ancora più insicure le strade delle città italiane per le donne e per le minoranze».

Schiavon conclude con la richiesta di «sospendere per 2 anni le adunate degli Alpini in modo tale da dare un chiaro segnale che in quanto cittadini non siamo più disposti ad accettare un comportamento simile, svilente per le donne e per tutte le minoranze. Vogliamo che tutti si sentano liberi di occupare le città senza sentirsi minacciati e in pericolo. È necessario che il Consiglio degli Alpini prenda dei seri provvedimenti, soprattutto in materia di rieducazione riguardo ai diritti umani: le scuse non sono più sufficienti».

Poco prima era arrivata la ferma condanna a quanto accaduto anche da parte del ministro per le Pari Opportunià, Elena Bonetti: «Quanto è accaduto, quanto viene riportato dalla cronaca è gravissimo, inaccettabile per le istituzioni e in particolare per uomini che sono e devono essere al servizio dello Stato. L’Italia si fonda sulla piena parità di genere e quindi deve ripudiare con forza quella sub-cultura di prevaricazione del maschile nei confronti del femminile. Quell’utilizzo del femminile come un oggetto che non è davvero compatibile con i principi costituzionali».

COSA È ACCADUTO A RIMINI

A sollevare il coperchio su quello che in poche ore è diventato un caso nazionale, già nella serata di venerdì 6 maggio, erano state alcune righe che l’associazione “Non una di meno Rimini” (onlus che unisce non solo attiviste femministe, ma anche e soprattutto migliaia di persone che dicono “basta” alle varie forme di violenza maschile contro le donne) aveva affidato al suo profilo Instagram, accompagnata dal lancio, sempre sui canali social, di una sorta di raccolta di testimonianze.

«Siamo alla seconda giornata dell’Adunata nazionale degli Alpini, accolti come il miglior ospite che Rimini potesse aspettarsi riporta il post – e sono già numerosissime le segnalazioni di molestie e catcalling (molestia sessuale, prevalentemente verbale, che avviene in strada, ndr) da parte di Alpini, per lo più ubriachi, ai danni di donne di ogni età. Ancor più pesanti quelle subite sul luogo di lavoro da chi non può rispondere a tono o sottrarsi a questa violenza».

Lunedì 9 maggio, il giorno dopo la chiusura dell’Adunata culminata con il rituale “passaggio della Stecca” (il passaggio di consegne della responsabilità di organizzare l’adunata nazionale 2023 delle penne nere che Rimini ha affidato a Udine, dove manca dal 1996) , era arrivata, obbligatoria, la presa di posizione dell’Associazione nazionale Alpini che «prende le distanze, stigmatizzandoli, dai comportamenti incivili segnalati, che certo non appartengono a tradizioni e valori che da sempre custodisce e porta avanti l’Ana», sottolineando comunque che si trattava di «segnalazioni sui social e non di denunce alle forze dell’ordine. Per di più, chiunque può comperare un cappello da alpino su una bancarella, per quanto non originale, e utilizzarlo per sfruttare malamente il clima di festa scambiando l’Adunata per una sorta di Oktoberfest».

Un bicchiere d’acqua gettato su un incendio già partito, visto che nel volgere delle successive 24 ore si arriverà a oltre un centinaio di segnalazioni di molestie sui vari canali social, raccolte ancora da “Non una di meno”.

Troppe per non trasformare l’accaduto in un caso nazionale. «Comportamenti gravissimi ed episodi che certamente andranno accertati dagli organi competenti, ma che non possono e non devono essere sottovalutati», ha ammonito, martedì 10 maggio, il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini.

CENTINAIA DI CASI

Ma capire cosa sia effettivamente successo nella tre giorni che ha richiamato sulla Riviera romagnola qualcosa come 400 mila persone resta complicato. Proprio perché non c’erano solo gli alpini a far festa: come detto, a nascondersi sotto o dietro una penna nera poteva esserci chiunque.

Non che questo, ovviamente, faccia differenza o garantisca una forma di assoluzione per qualcuno. Qualcuno evidentemente deviato dai tradizionali fiumi di alcol che scorrono alle Adunate e sentitosi in dovere di smettere di essere un uomo per mettere nel mirino soprattutto le tante giovani e giovanissime bariste e cameriere impiegate nei bar e ristoranti di una Riviera romagnola presa letteralmente d’assalto.

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