Antonio Milia, il carabiniere killer e i disagi psichici: chi lo ha autorizzato a rientrare in servizio? Indagine sui medici

Carabiniere Asso
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Asso (Como), ha ucciso in caserma il suo comandante. «Il superiore non lo riteneva pronto a tornare al lavoro»

Nell’attuale incertezza su chi indagherà, se la Procura ordinaria di Como oppure quella militare di Verona competente per giurisdizione, sono comunque già note le prime mosse dei magistrati: interrogare i componenti della Commissione medica che ha autorizzato il ritorno in servizio del brigadiere dei carabinieri Antonio Milia, il 57enne che giovedì ha ucciso il proprio comandante, il luogotenente Doriano Furceri, d’un anno maggiore, nella caserma di Asso, nemmeno 4 mila abitanti nella pacifica geografia tra i laghi di Como e Lecco.

A quella Commissione, che raggruppa esperti sanitari sia dell’Esercito sia della medesima Arma, Milia aveva fornito ampia documentazione clinica di dottori privati, i quali a loro volta non avrebbero ravvisato anomalie nella possibilità di ridare un’arma a un uomo malato da gennaio di disturbi mentali, ricoverato in Psichiatria, sottoposto a lunghe cure, perseguitato da ossessioni, convinto che il mondo ce l’avesse con lui.

Il mondo e in particolare proprio Furceri, che dirigeva Asso dal gennaio del 2021 dopo che i vertici dei carabinieri avevano deciso il suo spostamento: era a Bellano, il paese narrato dallo scrittore Andrea Vitali, amico di quel luogotenente destinatario di scritte sui muri delle case con l’accusa di «insidiare» ogni moglie della comunità. Pur obbligato al silenzio dai superiori, Furceri aveva confidato al Corriere lo sdegno per una «macchina del fango», sicuro d’essere il bersaglio di «qualcuno che ho catturato e che magari ho fatto anche condannare».

In questa devastante storia di Asso, nell’annotare gli elementi nella loro complessità, dobbiamo riportare le prime parole pronunciate da Milia, infine arrestato dagli specialisti del Gis, il Gruppo d’intervento élite dell’Arma, alle 5.45 della notte tra giovedì e ieri. Ovvero al termine di quasi 13 ore di trattativa, ore durante le quali il brigadiere, sposato, tre figli come Furceri, non ha nascosto le intenzioni di suicidarsi senza dare seguito ai proclami.

Ebbene, nelle iniziali confessioni confermate in sede d’interrogatorio, Milia ha raccontato che il comandante era responsabile (anche) dei suoi problemi famigliari: il brigadiere non andava d’accordo con la moglie, ormai da tempo, molto tempo, e per appunto ne incolpava Furceri «reo», a suo dire, di non aiutarlo sul luogo di lavoro complicandogli ancor più un’esistenza faticosa (in questo articolo tutti i fantasmi di Antonio Milia: i post-it contro i colleghi e gli spari a gennaio).

In effetti il comandante non considerava il brigadiere pronto a riprendere la turnazione in caserma: aveva anzi bisogno di ulteriore riposo, e giovedì Milia era in licenza, pur essendo stato dichiarato dalla Commissione pronto all’effettiva quotidianità da carabiniere dieci giorni fa. Il brigadiere ha sparato contro Furceri nel suo ufficio inseguendolo mentre fuggiva e completando l’agguato con un colpo alla nuca.

Forse il «colpo di grazia». Il cadavere è rimasto sul pavimento dell’ingresso della caserma, a ostruire la porta, mentre all’interno della struttura i familiari di Furceri come di Milia si erano nascosti negli alloggi di servizio, sul medesimo piano. Ma l’assassino aveva concluso gli obiettivi; non ha provato a raggiungere quei parenti o altri colleghi. Il brigadiere che adesso chiamano «brigadiere-killer», gli occhi di pianto persi nell’abisso, non cercava più nessuno.

Milano.corriere.it

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