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Violenza sulle donne, intervista al Capitano dei Carabinieri Annarita D’Ambrosio. “Abbiate fiducia, possiamo aiutarvi”

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La violenza sulle donne è una problematica che, per l’estrema gravità e l’aumento dei casi, va affrontata non solamente il 25 novembre ma tutto l’anno. L’attenzione va tenuta costantemente alta affinché nessuna vittima si senta abbandonata e sola ma trovi il coraggio di affrontare il dramma che sta vivendo e chiedere aiuto. E questo lo sa molto bene il Capitano Annarita D’Ambrosio, Comandante della Compagnia Carabinieri di Vallo della Lucania, che ogni giorno dà il proprio contributo per combattere questa emergenza sociale.

L’Arma dei Carabinieri può dare un aiuto concreto alle vittime di violenza: è questo il messaggio che il Capitano D’Ambrosio lancia alle donne. E nell’intervista che ci ha gentilmente concesso, spiega perché occorre fidarsi e lasciarsi aiutare, lo fa da appartenente alle Forze dell’Ordine ma soprattutto lo fa da donna che tende una mano verso un’altra donna.

  • Capitano, cosa significa essere una donna Carabiniere?

Non significa nulla di diverso dall’essere un uomo Carabiniere; ognuno svolge il proprio lavoro – nel caso del Carabiniere più che di un lavoro parlerei di una missione, qualsiasi sia il grado o il ruolo ricoperto – “mettendoci dentro” qualcosa del proprio vissuto, delle proprie esperienze e delle proprie caratteristiche che possono essere le più varie sia nell’uomo che nella donna.

  • Una delle difficoltà per una donna in carriera è la conciliazione della vita privata con il lavoro. Pensa che sia possibile, in base alla sua esperienza, conciliare la carriera militare con la vita privata?

Si, penso che la carriera militare e la vita privata possano ben conciliarsi se si è sin da subito consapevoli che la vita militare comporta qualche sacrificio e qualche rinuncia che inevitabilmente ricade anche sulla famiglia. Se si incontra un partner evoluto al punto da comprendere che l’organizzazione familiare non sarà proprio quella classica delle famiglie dei nostri nonni e ci si dovrà aiutare e sostenere a vicenda, tutto si può fare. Inoltre, se si hanno dei figli piccoli, oltre all’indispensabile presenza di un aiuto concreto che sia un nonno o una persona di fiducia, credo sia molto importante spiegare loro – in maniera adeguata alla loro età, ovviamente – in cosa consiste il lavoro svolto e perché il genitore non è sempre con loro, facendo comprendere l’importante valenza sociale e responsabilità del lavoro svolto da mamma o papà (nel mio caso sia da mamma che da papà) che non potrà che renderli orgogliosi e farà apprezzare loro ancor di più il tempo trascorso con il genitore che svolge questo delicato lavoro. Da figlia di appartenente all’Arma posso certificare che con la “formula” che ho appena descritto e che è stata quella adoperata con me dai miei genitori, non mi è mancato nulla né a livello affettivo né sotto altri profili.

  • Una delle problematiche più diffuse è senza dubbio la violenza sulle donne. In base alla sua esperienza, sono aumentati i casi? E che situazioni si è trovata a dover affrontare?

Ho notato l’aumento dei casi di violenza sulle donne nel periodo del lockdown; probabilmente le convivenze “forzate” di quel periodo hanno fatto emergere criticità latenti in molti rapporti di coppia che, purtroppo, sono sfociate in atti di violenza. Per quanto riguarda il mio territorio di competenza si sono verificati diversi episodi di violenza posti in atto, purtroppo, da mariti o compagni. Non è mancata una vittima di violenza di sesso maschile.

  • L’Arma dei Carabinieri che aiuto può dare?

L’Arma dei Carabinieri dispone presso ogni comando Compagnia di personale appositamente formato per l’ascolto di vittime di violenza nonché di apposite “stanze” dedicate alla loro accoglienza e ascolto che stanno diffondendosi sempre più nei territori, grazie alla collaborazione con enti e associazioni. E’ costante il contatto dell’Arma con i centri antiviolenza presenti sul territorio, sulla cui presenza le vittime vengono compiutamente informate, e con i servizi sociali, quando occorre individuare una casa rifugio ove allocare la vittima o altre persone ad essa conviventi, bisognevoli di assistenza e che accettino di allontanarsi dal proprio domicilio. Altresì la figura del Comandante della Stazione, che generalmente è il primo contatto dell’Arma per la vittima di violenza, è presente capillarmente sul territorio. Nel mio territorio di competenza sono presenti 13 Stazioni. Non mancano sistemi informatici di analisi e catalogazione che supportano e rendono più efficaci le nostre strategie di prevenzione e contrasto al fenomeno.

  • Cosa risponde alle vittime che hanno perso fiducia nella giustizia e non credono più che un intervento penale sia efficace per interrompere la violenza?

Di guardare con fiducia ai tanti casi di rinascita di donne che hanno avuto il coraggio di denunciare e ai tanti casi di virtuosa sinergia tra istituzioni – fondamentale, a mio avviso, per intervenire su questo tipo di problema – sinergia che in questo territorio non manca. Credo, altresì, che occorra lavorare molto anche sulla cultura e sulla prevenzione e che la vittima, anche se non è facile, non debba attendere che la situazione degeneri per rivolgersi alle Forze dell’Ordine che devono rispondere sempre con la massima tempestività ed efficienza.

  • Crede che il fatto che sia una donna ad indossare la divisa possa essere un motivo di fiducia in più per le donne che decidono di denunciare una violenza subita?

Senz’altro con una figura femminile la vittima si sente immediatamente più accolta e compresa e, pertanto, meno condizionata nel descrivere quanto le è accaduto. Credo comunque che chi ascolta la vittima debba saperla mettere a proprio agio e guadagnarne la fiducia in modo da farla aprire e ciò non ha sesso ma è una questione di sensibilità e di formazione dell’operatore/operatrice.

  • In conclusione, da donna, cosa si sente consigliare alle donne?

Di lavorare sulla propria autostima, tenendo sempre presente che vanno bene come sono, ognuna nella propria unicità e che non c’è nulla di sbagliato in loro. Talvolta è la scelta del partner a essere infelice. Occorre ascoltare subito quella “voce interiore” che parla loro suggerendo di lasciar perdere le frequentazioni poco adatte a sé. Credo che i campanelli d’allarme si manifestino quasi sempre ma che, spesso, vengano ignorati per paura della solitudine, preferendo una relazione poco adatta piuttosto che nessuna relazione sino all’arrivo dell’incontro giusto. Inoltre sottolineo l’importanza dell’indipendenza economica quale premessa indispensabile per sentirsi libere di scegliere cosa fare della propria vita; non sono, infatti, rari i casi in cui la donna tentenna nelle proprie decisioni perché dipende economicamente dal partner maltrattante.

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