Torna decorato da Kabul ma l’esercito non gli crede: alpino finisce a processo

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Un eroe di guerra. O un impostore. Chi è davvero il capitano del Settimo Reggimento Julia Alpini di Belluno, Paolo Mastromatteo?

Per ora tre gradi di giudizio non sono bastati a dare una risposta. La storia ha dell’incredibile, ed è approdata di recente davanti alla Corte di Cassazione. Mastromatteo, 50 anni, origini pugliesi, fu impegnato nella «Enduring Freedom», l’operazione avviata dagli Stati Uniti in Afghanistan dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Ed è proprio il suo esemplare comportamento in suolo afgano che nell’ottobre del 2013 gli avrebbe fatto guadagnare una onoreficenza del «Department of the Army».

Il condizionale è d’obbligo perché, tornato in Italia dopo la missione all’estero, il capitano ha presentato la medaglia «The Army Achievement Medal» al proprio Comando di Brigata chiedendo il riconoscimento, da parte delle Penne Nere, del prestigioso attestato straniero. E da qui sono emersi i primi dubbi. Perché le indagini svolte in seguito hanno fatto sorgere il sospetto che in realtà, quella onorificenza, il capitano se la sia inventata di sana pianta.

I dubbi sulla medaglia«Conferimento in realtà mai avvenuto – scrivevano i suoi superiori- in quanto simulava copia dell’atto e la rilasciava in forma legale in allegato alla richiesta di autorizzazione a fregiarsi di decorazioni non nazionali».

Da qui l’accusa per la quale Mastromatteo è finito sotto processo. In un primo momento il tribunale di Belluno aveva mandato completamente assolto il soldato, sostenendo che non ci fossero elementi per provare che quel «diploma» conferitogli dagli americani in realtà non esistesse.

Ma il 7 febbraio dello scorso anno la Corte d’Appello di Venezia ha ribaltato il verdetto, accertandone la responsabilità penale per il reato di «falsità materiale commessa da pubblico ufficiale». Condanna che al capitano non è proprio andata giù. Per questo aveva presentato ricorso in Cassazione, che ora ha annullato tutto e ordinato un nuovo processo che, si spera, chiarirà una volta per tutte se Mastromatteo è un eroe di guerra o un impostore.

Promossa» dall’ambasciata, «bocciata» da un ufficiale

Nel corso dei processi sono emersi elementi contrastanti. Ci sono testimonianze a favore dell’alpino, come quella di un colonnello italiano che «riconosceva come autentica la certificazione statunitense in possesso dell’imputato».

Ma esistono anche pareri ambigui, come quello espresso in una e-mail dall’Ambasciata statunitense a Roma che «se per un verso non riteneva certa l’autenticità del certificato e della medaglia, per altro verso non ne smentiva la possibile autenticità perché poteva essere stato conferito da una unità americana diversa rispetto a quella degli altri colleghi italiani». C’è poi l’opinione del tenente colonnello John Stroh, che ha messo nero su bianco: «Sulla base della mia esperienza quale ufficiale dell’Esercito statunitense e della mia conoscenza delle onorificenze dell’Esercito statunitense, ritengo che la suddetta documentazione è da ritenersi falsificata».

La Corte d’appello vede con sospetto anche il fatto che Mastromatteo esibì «in giudizio la certificazione e la medaglia solo al termine del dibattimento di primo grado nel corso dell’esame, quindi dopo il congedo di tutti i testi di accusa». Quando cioè nessuno poteva testimoniare se fosse realmente quella, l’onorificenza di cui si dibatteva.

Per la Cassazione, «a fronte dell’insieme di tali elementi fra loro contraddittori, in primo luogo sul tema della autenticità della documentazione ritenuta falsa» occorre un nuovo esame delle prove portate dal capitano a sua discolpa. Per questo motivo la condanna è stata annullata e il processo d’appello si dovrà rifare, se occorre – avvertono i giudici – anche ascoltando nuovamente tutti i testimoni.

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