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Carabiniere si impossessò e vendette armi consegnate in caserma – La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15.919 depositata il 24 aprile 2025 (udienza del 6 marzo), ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un sottufficiale dei Carabinieri, confermando la condanna per peculato, detenzione e vendita illegale di armi, falso in atto pubblico e usurpazione di funzioni pubbliche.
L’uomo, in servizio presso una stazione dei Carabinieri, si era appropriato nel tempo di numerose armi da fuoco che i privati avevano consegnato all’ufficio di polizia. Alcune di queste erano state trattenute per uso personale, altre vendute o cedute a terzi, il tutto mediante alterazione della documentazione o produzione di falsi.
Carabiniere si impossessò e vendette armi consegnate in caserma: l’attività illecita anche dopo il suo collocamento in quiescenza
L’attività illecita era proseguita anche dopo il suo collocamento in quiescenza: il militare, infatti, aveva continuato a frequentare l’ufficio di appartenenza, mantenendo i contatti con l’utenza e comportandosi come se fosse ancora in servizio.
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I giudici della Suprema Corte hanno respinto tutte le censure mosse dal ricorrente, definendole una mera riproposizione delle motivazioni d’appello senza nuovi elementi critici. Hanno inoltre sottolineato che, anche se alcune armi erano state cedute gratuitamente, altre erano state vendute, smentendo quindi l’irrilevanza economica della condotta.
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La Cassazione ha ribadito la gravità del peculato, definito come un reato “plurioffensivo” che non solo incide sul patrimonio pubblico ma compromette anche la fiducia nell’attività della pubblica amministrazione, soprattutto in un ambito delicato come quello della gestione di armi.
Anche la prosecuzione dell’attività dopo il pensionamento è stata ritenuta penalmente rilevante, poiché l’imputato ha continuato ad avere disponibilità delle armi grazie alle funzioni precedentemente esercitate. La documentazione falsa prodotta serviva solo a legittimare formalmente l’illegale circolazione delle stesse. Con questa decisione, la condanna diventa definitiva.