Carabiniere caricava l’auto elettrica in caserma: accusato di furto. Ricorso rigettato dalla Cassazione militare

Carabiniere caricava auto elettrica caserma

Carabiniere caricava l’auto elettrica in caserma: accusato di furto – È definitiva la sentenza che ha accertato la responsabilità di un vicebrigadiere dell’Arma, in servizio alla Stazione dei Carabinieri di Scordia (CT), per essersi appropriato, nel marzo del 2022, di energia elettrica dell’amministrazione, utilizzata per ricaricare la propria auto elettrica privata collegandola alla rete della caserma.

Carabiniere caricava l’auto elettrica in caserma: ricorso rigettato

La Prima Sezione penale della Corte di Cassazione militare ha rigettato il ricorso presentato dal militare, confermando le decisioni del Tribunale militare di Napoli e della Corte militare di appello di Roma, che avevano escluso la punibilità per particolare tenuità del fatto, ma riconosciuto l’effettiva commissione del reato di furto militare aggravato.

Secondo quanto accertato dai giudici, tra il 5 e il 15 marzo 2022 il vicebrigadiere avrebbe collegato più volte la batteria della propria auto a una presa dell’edificio militare, facendo passare un cavo attraverso la zanzariera di una finestra. Il consumo indebito ammontava a 67,85 kilowatt per un valore di circa 34 euro. Nonostante la modesta entità, la condotta è stata ritenuta penalmente rilevante.

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Nel suo ricorso, il militare aveva sostenuto che l’estremità del cavo non fosse collegata a una presa della caserma, bensì a una power bank personale, e lamentava che non vi fosse alcuna prova diretta del collegamento alla rete elettrica.

Tuttavia, i giudici hanno ritenuto questa tesi inverosimile, sottolineando che il comportamento dell’imputato – come far passare un cavo attraverso una finestra e collocarlo dietro mobili della stanza – non sarebbe spiegabile se non con l’intento di attingere abusivamente all’energia della caserma.

Inoltre, durante il confronto con due colleghi che avevano notato il cavo, il carabiniere non avrebbe negato i fatti, limitandosi ad affermare che, se il comandante non aveva nulla da dire, anche gli altri non potevano contestare l’accaduto.

La Corte ha ricordato che, in materia penale, la prova può essere anche indiretta e fondata su elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, e che la particolare tenuità del fatto non cancella l’accertamento di responsabilità, il quale conserva efficacia di giudicato ed è iscritto nel casellario giudiziale.

Il ricorso è stato quindi dichiarato infondato e il vicebrigadiere è stato condannato al pagamento delle spese processuali.

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